09.08.2019 Simone Sbaraglia

Simone Sbaraglia: Hokkaido, la natura in grande formato

Simone Sbaraglia

Simone Sbaraglia è un fotografo naturalista professionista. Il suol lavoro ha lo scopo di mostrare la bellezza, l’armonia e l’unicità del nostro Pianeta, nella speranza che possa essere preservato per le generazioni future. Simone è spesso inviato in giro per il mondo per realizzare reportage naturalistici. I suoi articoli sono comparsi su numerose riviste italiane e internazionali e le sue foto hanno vinto i più prestigiosi premi internazionali di fotografia. Simone è autore di due libri (“Immagini dal Pianeta Terra” e “A tu per tu con la Natura”). Quando non è in viaggio dall’altra parte della Pianeta, Simone insegna fotografia, conduce workshop e viaggi fotografici e partecipa a proiezioni e presentazioni.

Hokkaido, isola a nord del Giappone, territorio degli Ainu, terra delle gru giapponesi, sacre in tutte le culture orientali e dei ciliegi in fiore, che qui si fanno aspettare per via delle rigide temperature.
Con i suoi vastissimi parchi nazionali, Hokkaido rappresenta al meglio quello che doveva essere l’ambiente naturale originario del Sol Levante.
È la più grande prefettura del Giappone, più fredda del resto del paese, ma senza le terribili stagioni afose e con piogge moderate rispetto al resto della nazione nipponica. Nel contempo è anche l’isola con la più bassa densità di popolazione.
Per queste sue peculiarità Hokkaido negli anni è divenuta meta ambita per tutti i giapponesi in cerca di un clima piacevole, soprattutto a cavallo tra primavera ed estate. Una vera e propria perla dove poter godere un concentrato di meraviglie naturali. Colonizzata dai giapponesi 150 anni fa, Hokkaido fu rifugio degli Ainu, gruppo etnico diffuso tra Russia e Giappone, nel tempo in cui i giapponesi cominciarono a invadere l’isola di Honshu. Oggi i pochi sopravvissuti di questa popolazione vivono in piccoli villaggi ricostruiti e diventati meta dei turisti.

Neve e ghiaccio, temperature polari, venti glaciali che sferzano paesaggi misteriosi, avvolti nella nebbia e punteggiati di laghi, caldere, vulcani e sorgenti termali. È questo lo scenario che si incontra arrivando a Hokkaido, letteralmente “la rotta del Mare del Nord”.
Le infinite sorgenti di acqua termale di origine vulcanica sono la caratteristica principale di quest’isola, tanto che di recente sono state comprese dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’umanità.
Ed è proprio questo luogo fatato, freddo e silenzioso che due magnifiche specie di uccelli, le gru giapponesi e i cigni selvatici, hanno eletto come dimora.

La gru è un maestoso uccello dal piumaggio bianco e nero con una caratteristica chiazza rossa sulla testa; tancho, il nome con cui i giapponesi chiamano le gru, significa letteralmente “testa rossa”.
Le gru incarnano purezza, felicità, longevità, fortuna, amore e fedeltà, sono uccelli sacri in tutte le culture orientali. Il fascino della loro danza d’amore nell’incanto di questi luoghi è uno spettacolo che rapisce ed emoziona. Si tratta di uccelli molto socievoli, che vivono in popolosi gruppi le cui coppie,
monogame, rimangono unite fino alla morte di uno dei compagni che avviene in media intorno ai 40 anni.

Il tratto più caratteristico e affascinante del comportamento della gru giapponese è il suo complesso rituale amoroso: una vera e propria danza di eccezionale armonia ed eleganza in cui la coppia avanza in cerchio compiendo salti, inchini, battiti d’ala e richiami. Spesso una delle gru raccoglie un ramoscello per donarlo al partner prima di esibirsi in un canto sincrono, con la testa all’indietro e il becco rivolto verso il cielo. La danza delle gru è speciale, oltre che per la sua bellezza, perché viene inscenata anche al di fuori del periodo riproduttivo per rafforzare i legami di coppia. Proprio questa caratteristica ha fatto diventare le gru giapponesi delle icone di fedeltà e purezza tanto che in Giappone sono spesso raffigurate sul
kimono della sposa per evocare la buona sorte e l’amore coniugale.
«Vedere una gru porta mille anni di felicità», recita un detto giapponese.

La gru giapponese ha rischiato di scomparire negli anni Cinquanta, quando rimasero appena 25 esemplari, che si raccolsero affamati intorno a una pozza di acqua calda. I contadini della zona dello Tsuruili fornirono loro grano e riparo, un atto di generosità che permise a un inestimabile patrimonio naturale di sopravvivere.
Un’antica leggenda giapponese narra che chiunque realizzi mille gru con l’arte degli origami vedrà i suoi desideri esauditi. Per questo motivo, le composizioni di mille gru di carta legate insieme, chiamate senbazuru, sono un classico dono di nozze o per la nascita di un bambino.

I cigni selvatici migrano per migliaia di chilometri per trovare gli ampi spazi acquatici di cui hanno bisogno per vivere e nutrirsi, tornano sull’isola di Hokkaido ogni inverno, come se dovessero mantenere un’antica promessa.
Sul lago Kussharo passano l’inverno, riposando le loro ali bianche che si confondono con il paesaggio cosparso di neve e ghiaccio e godendo delle correnti calde che scorrono nel lago vulcanico.
Il significato simbolico del cigno nella nostra cultura ha fatto di questo animale il protagonista di storie e leggende. Basti pensare all’antica Grecia e alla tradizione dei miti che vedono Zeus assumere le sembianze di un cigno e sfruttare la maestosità e l’eleganza di questo animale per sedurre Leda.

Da sempre simbolo di eleganza, modello di fedeltà coniugale, anche i cigni, come le gru sono una specie monogama e hanno un delicato rito di accoppiamento che li vede dapprima nuotare appaiati, poi reclinare il collo e all’unisono tuffare il capo in acqua per poi rialzarlo fino a toccarsi con i becchi e assumere con i colli la tipica forma di cuore.

Velocità nel movimento, attrezzatura leggera e focali medio lunghe sono le caratteristiche che ogni fotografo di wildlife cerca per svolgere al meglio il proprio lavoro. La mia attrezzatura di riferimento è la fantastica X-T2 con focali tra 10 e 400 millimetri. Con il tempo tuttavia ho progressivamente ridotto al minimo l’utilizzo delle focali lunghe, preferendo un tipo di fotografia a stretto contatto con il soggetto, più empatica e tridimensionale. Questo viaggio a Hokkaido, pianificato per realizzare alcuni scatti in vista della pubblicazione di un prossimo libro della collana “Sguardi sul Mondo” (in collaborazione con
Fujifilm (http://www.emozionifotografiche.org/sguardi-sul-mondo) è stato l’occasione per testare un’attrezzatura del tutto diversa da quella cui sono abituato: Fujifilm GFX 50S.

Ero molto curioso di vedere come mi sarei adattato ad una macchina molto diversa da quella cui sono abituato, e di verificare la “tenuta” della GFX a temperature polari (fino a 20 gradi sotto zero), neve e le difficoltà consuete per il fotografo naturalista che opera in ambienti estremi.
Avere in mano la GFX mi costringe a rivedere i miei canoni di lavoro: la focale più lunga a mia disposizione è approssimativamente equivalente a 100mm fullframe. Tuttavia già dai primissimi scatti di prova mi rendo conto di avere tra le mani uno strumento sorprendente. Il dettaglio che questa macchina è in grado di produrre è impressionante, fatico a credere ai miei occhi quando, rientrato in hotel la prima sera, scarico le immagini sul computer e le ingrandisco al 100%. Decido di spingere la risoluzione ai massimi livelli e il giorno successivo mi cimento in un panorama ottenuto unendo 8 scatti (oltre 300Mp), oltre ad una serie di immagini panoramiche ottenute unendo due scatti orizzontali, per un
formato che enfatizzi le geometrie che posso ammirare sul lago Kussharo.

La gamma dinamica espressa dalla macchina è davvero soddisfacente e mi consente di realizzare le immagini che ho in mente senza esposizioni multiple da dover fondere in post-produzione. Il freddo non sembra causare il benché minimo problema all’attrezzatura, salvo la naturale minore durata delle batterie (tenute in caldo nella giacca, a contatto con il corpo).
Torno a casa convinto che questa macchina, sia in grado di fornire una marcia in più al fotografo che ama applicare il precetto di Robert Capa: “se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino”.