15.11.2019

Simone Raso: Inside Mathare

Sono passati cinque anni dalla prima volta che sono stato a Mathare.
Mathare ti travolge come un fiume in piena, con i suoi odori, con i suoi spazi angusti, con la sua gente.

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La baraccopoli è una sorta di organismo unico: cresce e si evolve, vive di regole proprie, a volte incomprensibili. Per noi occidentali è difficile capire come si possa vivere in un luogo del genere. Allora, dopo tanti anni, per poter entrare in sintonia con questo “ecosistema”, ho deciso di percorrerlo in ogni angolo, lasciandomi trasportare dalla sua gente e incontrando le persone che qui nascono, vivono, muoiono.

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Abitazioni costruite su fondamenta fatte di rifiuti accumulati negli anni, angoli bui, stracci, letame… e poi loro, i bambini: tantissimi, ovunque, sfacciati e curiosi di incontrare il Muzungu, l’uomo bianco.

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Mathare si potrebbe riassumere in due parole: “tutto” e “niente”.
Tutto: parrucchiere, panificio, lavanderia, scuola, meccanico…
Niente: Acqua, elettricità, regole, organizzazione.
Un caos organizzato in continua espansione.

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La vista dall’alto è ingannevole, impossibile intuire quello che avviene negli infiniti vicoli.
Per comprendere a fondo, è necessario immergersi nella vita quotidiana, entrare tra i cunicoli di latta. Non basta zumare l’immagine, bisogna esserci.
Ecco perché ho scelto di stare vicino, a interagire “rischiando” il diffidente confronto con queste persone.

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Mathare è difficile, a volte pericolosa, e va trattata con grande rispetto.
Solo così facendo, ti restituirà tutta se stessa in maniera diretta e senza compromessi.

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