08.06.2020

Leonello Bertolucci: da fotografo a speleologo

Leonello Bertolucci

Nato in Liguria e approdato a Milano negli anni ottanta, ha intrapreso la strada del reportage fotografico lavorando per alcune testate e agenzie italiane; in seguito hanno avuto inizio collaborazioni internazionali tra cui quella con l’agenzia Sygma di Parigi. Sue foto sono apparse su testate quali Time, Newsweek, Stern, Paris-Match, Epoca, ecc. Attualmente è fotografo contributor per l’agenzia Getty Images.
Vengono pubblicati anche suoi libri d’immagini e allestite sue mostre. È consulente in campo editoriale e multimediale, ed è chiamato a ricoprire il ruolo di photo editor in redazioni di giornali; ha scritto il primo libro in Italia sull’argomento, col titolo “Professione Photo Editor” (Gremese Editore).
E’ docente all’Istituto Italiano di Fotografia (Milano), a Bottega Immagine (Milano), a Foto Scuola Lecce (Lecce) e ha insegnato al Master in Giornalismo dell’Università di Bologna; tiene inoltre corsi, workshop e letture portfolio in giro per l’Italia.
Della sua attività si sono occupate riviste di fotografia come Fotopratica, Il Fotografo, Nuova Fotografia, Photo, Fotographia, Techno Photo, Fotoit, Gente di Fotografia.
Gli piace giocare, e nelle edizioni del Pulcinoelefante le sue fotografie giocano con testi, tra gli altri, di Alda Merini, Tonino Guerra, Enzo Sellerio. Ha inoltre pubblicato un libro di aforismi sulla fotografia dal titolo “55 fotograforismi” (Postcart Edizioni). E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti e scrive di fotografia nel suo blog su Il Fatto Quotidiano e sulla rivista Il Fotografo.
www.leonellobertolucci.it

E poi, da fotografo, diventare per un giorno speleologo tra i tesori misteriosi della Grotta dei Cervi

Sono grato alla fotografia per mille motivi, ma il principale è la possibilità che mi ha dato, negli anni di professione, di vivere in prima persona esperienze legate a luoghi, fatti e persone che mi hanno formato, mi hanno emozionato, mi hanno segnato. Come quella di cui parliamo ora.

© Leonello Bertolucci

Esattamente 50 anni fa, nel Salento, e precisamente a Porto Badisco, venne scoperta casualmente una grotta che resta ancora oggi un mistero per gli studiosi. Si tratta della Grotta dei Cervi, un sito unico al mondo per le sue caratteristiche. Nei suoi meandri, infatti, si sviluppa una sorprendente galleria d’arte della preistoria, con un ciclo di oltre 3.000 pittogrammi risalenti al neolitico, parte in ocra rossa e parte in guano di pipistrello. La particolarità sta nel fatto che tali pittogrammi, per la maggior parte, sono figure astratte, geometriche, simboliche e schematiche lontane dalla nostra possibilità di decifrarle.
Sono passati tra 5.000 e 8.000 anni da quando qualche “astrattista ante litteram” ha trasformato questa cavità naturale in un vera e propria galleria d’arte, al punto che la Grotta dei Cervi è stata definita “La Cappella Sistina del neolitico”.
Ma i tesori nascosti della Grotta dei Cervi sono stati poco fotografati nel tempo, in quanto tale sito è chiuso al pubblico per preservarne, necessariamente, il fragile equilibrio che ha permesso fino ad oggi la sua conservazione: ogni variazione interna di microclima e presenza batterica rappresenta una seria minaccia; dunque molto raramente la Soprintendenza competente concede l’accesso, ma ho avuto eccezionalmente questa opportunità per realizzare il mio recente libro dal titolo “Porto Badisco, la Grotta dei Cervi” (Adda Editore).

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Non è una passeggiata – va detto – e per muovermi in quel mondo alieno sono stato guidato da esperti speleologi. Operativamente, la mia priorità era alleggerire e ridurre al massimo l’ingombro della mia attrezzatura fotografica, pur senza privarmi del necessario. Dunque nulla di più adatto del sistema Fujifilm Serie X, per sua natura leggero e compatto. Ma qui la sfida era estrema: far rientrare tutto in uno zainetto davvero minimale. Il perché è presto detto: gli ambienti più ampi, quelli decorati con i pittogrammi, sono raggiungibili e collegati tra loro attraverso strettissimi e lunghi cunicoli, non più alti di un metro, che sono percorribili a fatica solo camminando “a quattro zampe”, nel fango. Col caschetto in testa dotato di un faretto per illuminare quel buio assoluto, dovevo spingere il mio bagaglio davanti a me, centimetro per centimetro, metro per metro: non c’era fisicamente lo spazio per portarlo normalmente sulla schiena.
Dunque, oltre a due corpi (una X-T2 e una X-E3) avevo con me solamente due obiettivi, dovendo anche in questo caso privilegiare le dimensioni ridotte: lo splendido XF14mmF2.8 R e, per avere comunque una certa versatilità di focali, il piccolo e ottimo zoom XF18-55mmF2.8-4 R LM OIS. La resa e la tenuta dei sensori Fujifilm ad alti ISO mi ha salvato nel non poter portare alcun tipo di treppiede. Con due soli piccoli pannelli led per l’illuminazione, tenuti in mano talvolta dai miei compagni d’avventura secondo le mie indicazioni, ho svolto tutto il lavoro a mano libera, ed è impressionante il risultato, visibile anche nelle grandi doppie pagine del libro da poco uscito.

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Mentre mi scorrevano davanti agli occhi quei cicli di pittogrammi io stavo camminando idealmente su di un ponte: quello tra le immagini della contemporaneità, le fotografie che permeano le nostre vite, e le immagini di chi, alcune migliaia di anni fa, già sentiva il bisogno di “fotografare” il suo tempo. Ma se la fotografia porta sempre un’impronta di realtà, viene da chiedersi di quale realtà portino traccia i misteriosi e in gran parte incomprensibili pittogrammi della Grotta dei Cervi.
Rappresentazioni affascinanti che mi hanno dato un brivido, facendomi sentire vis-à-vis con le radici della creatività. Ero, con la mia macchina fotografica al collo, alla convergenza degli estremi: io produttore d’immagini al presente di fronte a immagini primigenie.

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