25.02.2021 Giorgio Cravero

FUJIFILM GFX100 INCONTRA IL MUSEO EGIZIO DI TORINO

Giorgio Cravero

Giorgio Cravero è nato nel 1975 a Torino, dove vive e lavora. Laureato in Comunicazione visiva all’Istituto Europeo di Design, inizia la sua carriera occupandosi di fotografia d’architettura e still life.
Esperto di fotografia tradizionale analogica e di fotografia digitale, grazie alle nuove tecnologie ama connettere le due diverse tecniche in modo da enfatizzare e comunicare il suo modo di percepire la realtà, privilegiando la luce nelle sue significative declinazioni per interpretare spazi, forme e materiali.
Nel 2012, dopo averne fatto parte come socio, diventa titolare di Studio Blu e da subito, rispettandone la storia e la tradizione professionale, lo innova con una costante ricerca attraverso l’uso creativo degli strumenti informatici in relazione agli attuali canali mediatici.
Oltre alle realizzazioni fotografiche si dedica a produzioni video, creando un team di collaboratori in grado di fornire un linguaggio visivo declinabile sui più diversi mezzi di comunicazione. Una struttura capace di gestire i progetti dalla creatività alla produzione fino alla postproduzione, concentrandosi maggiormente su specifiche tipologie di immagini quali beverages e food.
Nel 2016 vince il prestigioso premio internazionale biennale Hasselblad Masters Award per la categoria Still life, diventando così il primo italiano ad aggiudicarselo per quella categoria.

Proseguendo nella direzione tracciata fin dal lancio di GFX100, Fujifilm raggiunge un altro importante traguardo per qualità e versatilità con l’aggiornamento alla versione 3.00 del Firmware per la sua ammiraglia, introducendo la funzione Pixel Shift Multishot.
In combinazione con FUJIFILM Pixel Shift Combiner, applicazione disponibile gratuitamente per tutti gli utenti Fujifilm, GFX100 è ora in grado di creare immagini con una risoluzione finale di 400 Mp.

Dopo aver testato in Studio le nuove funzionalità, ed alla ricerca di un soggetto che mettesse davvero in luce (e sotto stress) le possibilità offerte dal nuovo Firmware, ci siamo rivolti al Museo Egizio di Torino, il più antico Museo al mondo interamente dedicato alla civiltà nilotica e considerato, per valore e quantità dei reperti custoditi, il più importante al mondo dopo quello del Cairo.
Grazie alla disponibilità ed alla cortesia di tutto il personale del Museo, abbiamo avuto l’occasione di fotografare il sarcofago di Gemenefherbak. Questo sarcofago in grovacca, dalla forma antropoide, risale alla XXVI dinastia (664-525 a.C.) e apparteneva al visir Gemenefherbak, un uomo che nell’antico Egitto doveva svolgere un ruolo paragonabile a quello di un primo ministro.

Ciò che attrae immediatamente lo sguardo dell’osservatore è l’estrema levigatezza della superficie che appare quasi vellutata, nonostante la pietra adoperata, di colore verde scuro, sia molto dura da lavorare. In Egitto era chiamata “pietra bekhen” e si estraeva dalle cave nel deserto orientale, nello Uadi Hammamat, ed è perfino citata nel “Papiro delle miniere”, una mappa topografica presente nel Museo.

Gemenefherbak è raffigurato sul coperchio del sarcofago con una lunga parrucca tripartita, la divina barba posticcia intrecciata e ricurva, e un ampio collare usekh. Porta appeso al collo, a un cordoncino, una piccola immagine raffigurante la dea della giustizia accovacciata, chiamata Maat, che richiama il ruolo di Gemenefherbak come responsabile della giustizia. Il petto invece è protetto da uno scarabeo alato, personificazione del sole del mattino che rinasce. Gemenefherbak si presenta come il dio Osiride, il cui riferimento è evidente nel pilastro djed, simbolo del dio, raffigurato sull’alveo del sarcofago tra due rappresentazioni del defunto in adorazione.

Eseguite le due “riproduzioni” del sarcofago, l’unico intervento in postproduzione è stato quello di scontornare il fronte ed il retro del sarcofago per poi inserirli affiancati su uno sfondo nero.

Quello che emerge immediatamente è l’impressionante ricchezza dei dettagli delle incisioni e dei segni lasciati del tempo, nonostante il mirabile stato di conservazione. Ecco quindi che attraverso la riproduzione eseguita con la tecnica del Pixel Shift Multishot, alla risoluzione finale di 400mp, siamo in grado di apprezzare dettagli e particolari quasi invisibili ad occhio nudo.

La funzione Multishot, attivabile direttamente “in camera”, realizza automaticamente 16 scatti RAW che verranno poi “uniti” dall’applicazione Shift Combiner, in modo totalmente automatico, generando un unico (gigantesco e meraviglioso) file da 400 Mp, in formato DNG RAW. Viene così garantita la completa compatibilità con i più diffusi software di photo editing, in particolare con Capture One, che resta a mio personalissimo parere, il miglior software di “sviluppo raw” in circolazione.

In aggiunta all’altissima risoluzione, le immagini ottenute spiccano per ricchezza di dettagli, di gamma cromatica e di assoluta fedeltà nella riproduzione del colore, rendendo questa funzione particolarmente utile sia per i fotografi di Still Life che per tutti i fotografi che si occupano di archiviazione digitale e preservazione di opere d’arte, dove appunto la fedeltà cromatica è un aspetto fondamentale.

Dal punto di vista tecnico, la funzione Multishot sfrutta l’IBIS, il meccanismo interno di stabilizzazione per spostare di 0,5 pixel il sensore tra uno scatto e l’altro durante la creazione dei 16 RAW da importare successivamente in Pixel Shift Combiner.

In questo modo, ogni pixel del sensore registra interamente ogni canale colore (RGB), generando poi un file finale sostanzialmente privo di “false color”, anche nei dettagli più piccoli.

Grazie al Firmware 3.00, ed in particolare alla funzione Pixel Shift Multishot, GFX100 si è arricchita di un nuovo strumento, sempre all’insegna della massima qualità, che apre nuove possibilità ed addirittura nuovi percorsi lavorativi rendendo l’ammiraglia di Fujifilm uno strumento di una versatilità estrema, fondamentale in un mondo ed in un mercato in continua evoluzione.